Casteldaccia: la morte di 5 operai lascia sgomenti, ennesimo incidente sul lavoro grave e inaccettabile

Incidente sul lavoro a Casteldaccia: cinque lavoratori perdono la vita e un sesto è in gravi condizioni. La Cisal indice per domani, martedì 7 maggio, uno sciopero generale di 4 ore nel settore privato, a partire dall’inizio del turno di lavoro, "mentre dalle 9 terremo un sit-in di fronte alla Prefettura di Palermo”.   Palermo, 6 maggio 2024 – "L'incidente sul lavoro che a Casteldaccia, in provincia di Palermo, ha portato alla morte di cinque operai e al ferimento di un sesto, ci lascia sgomenti. Esprimiamo cordoglio e vicinanza alle famiglie dei lavoratori coinvolti e chiediamo che si accertino al più presto le cause di questo ennesimo incidente sul lavoro, grave e inaccettabile. La sicurezza sul lavoro è un'emergenza nazionale e come tale va affrontata a ogni livello, coinvolgendo sindacati, imprese e istituzioni". Lo dicono Giuseppe Badagliacca e Daniele Ciulla di Federerenergia Cisal in merito all'incidente sul lavoro avvenuto a Castaldaccia, nel Palermit

GIOIOSA MAREA: CONDANNATO PER DIFFORMITA' NELLA RISTRUTTURAZIONE DELLA RETE IDRICA L'ING. IACOPINO

Gioiosa Marea, 31/08/2012 - La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale d’appello per la regione siciliana ha rigettato l’appello proposto dall'ing. Vincenzo Iacopino avverso le sentenze del 26 marzo 2008 e del 27 gennaio 2010, emesse dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana, con cui Iacopino veniva condannato in favore del Comune di Gioiosa Marea, al pagamento della somma di € 458.883, per avere, in qualità di direttore dei lavori di ristrutturazione e rifacimento della rete idrica del comune, consentito l’utilizzazione da parte
dell’impresa aggiudicataria di materiale diverso da quello previsto in progetto, rendendo necessario compiere ulteriori opere ed acquisti per il ripristino delle condutture.
..................
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di questo grado di giudizio,
che si liquidano in complessivi € cinquecentottantuno/12 (581,12)
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 12 giugno 2012.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.TO (Luciana Savagnone) F.TO (Salvatore Cilia)
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 26/06/2012
Il Direttore della Cancelleria
F.TO (dott. Nicola Daidone


.............
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana
composta dai magistrati:
dott. Salvatore Cilia Presidente
dott. Luciana Savagnone Consigliere relatore
dott. Nicola Leone Consigliere
dott. Licia Centro Primo Referendario
dott. Francesco Albo Primo Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N.198/A/2012
nel giudizio di appello iscritto al n. 3527/A.Resp del registro di segreteria,
proposto da Iacopino Vincenzo elettivamente domiciliato a Palermo presso lo
studio dell’avv. Laura Castiglione, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario
Caldarera e Nino Favazzo
contro
il Procuratore regionale
avverso
le sentenze n. 1553/2008 del 26 marzo 2008, pubblicata il 4 giugno 2008, e
n. 740/2010 del 27 gennaio 2010, pubblicata il 15 aprile 2010, emesse dalla
Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana.
Uditi alla pubblica udienza del 12 giugno 2012 il relatore, consigliere dott.ssa
Luciana Savagnone, l’avv. Mario Caldarera ed il P.M. nella persona del dott.
Giovanni Coppola. 2
Esaminati gli atti e i documenti di causa
Fatto
Con atto di citazione depositato il 13 giugno 2002, il Procuratore regionale
conveniva in giudizio l’ing. Iacopino Vincenzo chiedendone la condanna, in
favore del Comune di Gioiosa Marea, al pagamento della somma di €
458.883,00, per avere, nella qualità di direttore dei lavori di ristrutturazione e
rifacimento della rete idrica del comune, consentito l’utilizzazione da parte
dell’impresa aggiudicataria di materiale diverso da quello previsto in
progetto, rendendo necessario compiere ulteriori opere ed acquisti per il
ripristino delle condutture.
Riferiva il Procuratore che i gravi vizi dell’opera erano stati accertati sia in
sede amministrativa, da parte del servizio ispettivo dell’Assessorato regionale
enti locali, sia in sede penale a mezzo delle consulenze tecniche espletate ed
acquisite agli atti. Risultava, infatti, che per gli stessi fatti l’ingegnere era
sottoposto a procedimento penale per il delitto di frode nelle pubbliche
forniture ed aveva già subito una condanna in primo grado, emessa dal
Tribunale di Patti.
Il danno veniva determinato in lire 888.520.877, di cui lire 216.318.661 pari
all’importo indicato nella consulenza esperita in sede penale (ivi compresa la
somma di lire 18.721.810 per maggiori oneri di riparazione sostenuti dal
Comune, quantificati nella Relazione del Servizio Ispettivo della Regione) e
lire 672.202.216 per spese di ripristino e per pagamenti senza causa
giustificativa. La responsabilità di esso veniva addebitata al Direttore dei
lavori il quale, con un comportamento connotato da colpa grave, aveva
omesso di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere e non aveva, così, 3
garantito la esatta corrispondenza dei lavori alle prescrizioni ed alle clausole
negoziate.
Nell’atto di citazione veniva anche formulata istanza di sequestro
conservativo che, con ordinanza 402/2002 del 25 novembre 2002, emessa in
sede di reclamo avverso l’ordinanza n. 302 del 25.8.2002 (con la quale il
Giudice designato aveva confermato la mancata autorizzazione del sequestro
disposta dal Presidente della Sezione con decreto n. 9 del 25.62002), veniva
autorizzato.
Nel corso del giudizio di primo grado, all’udienza dell’11.12.2002, veniva
disposta la sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., fino alla definizione del
processo penale. Quest’ultimo si concludeva con la sentenza n. 116/2003
della Corte d’Appello di Messina, con cui si dichiarava non doversi
procedere nei confronti dell’Ing. Iacopino per essere il reato estinto per
prescrizione, e con la sentenza della Corte di Cassazione del 19.5.2004, che
annullava la sentenza della Corte d’appello limitatamente alle statuizioni in
materia civile.
Riassunto il giudizio dal procuratore, la sezione giurisdizionale di primo
grado, con sentenza n. 2131/2006, ne dichiarava l’estinzione per
intempestività del ricorso in riassunzione e dichiarava cessati gli effetti del
sequestro.
Con sentenza n. 250/A/2007 questa Sezione d’appello, in accoglimento del
gravame proposto dall’organo inquirente, annullava la sentenza di estinzione
rimettendo la causa al giudice di primo grado.
La Sezione giurisdizionale, con la sentenza parziale n. 1553/2008, si
pronunciava solo sulla prescrizione, rigettando l’eccezione sollevata dal 4
convenuto. In particolare, premesso che nella fattispecie si era verificato
l’occultamento doloso del danno, dichiarava che il termine doveva iniziare la
sua decorrenza dalla data in cui il fatto dannoso era stato scoperto. Tale
termine, prima del decorso di un quinquennio, era stato ritualmente interrotto
dalla costituzione di parte civile del Comune di Gioiosa Marea nel processo
penale e, sempre prima del suo compimento, era stato nuovamente interrotto
dalla notificazione dell’atto di citazione.
In pari data alla sentenza citata, veniva emessa l’ordinanza n. 183/2008, con
la quale il Collegio disponeva una consulenza tecnica al fine di accertare i
costi di mercato, all’epoca dei fatti, del materiale e dei lavori effettuati.
Espletata l’istruttoria, con sentenza definitiva n. 740/2010, la Sezione
giurisdizionale condannava l’ing. Iacopino al pagamento, in favore del
Comune di Gioiosa Marea, dell’importo di € 83.412,03, oltre rivalutazione
monetaria e interessi legali.
Il giudice di primo grado affermava, infatti, che nel comune di Gioiosa Marea
era stata installata una conduttura idrica dalle caratteristiche tecniche diverse
rispetto a quella progettata. Ciò era potuto accadere a causa del
comportamento negligente del convenuto, Direttore dei lavori, il quale aveva
violato gli obblighi impostigli dalle disposizioni in materia con una
negligenza che aveva raggiunto la soglia di significativa intensità richiesta
dalla legge per la configurabilità della responsabilità amministrativa.
Circa la quantificazione del danno, il Collegio, preliminarmente, osservava
che, poiché l’intervento realizzato era stato, per difetto, significativamente
diverso da quello che il Comune aveva in animo di attuare, il minor valore
dell’opera, anche in assenza di qualunque contingente guasto in fase di uso 5
della stessa, avrebbe integrato un pregiudizio per l’Amministrazione. Il
danno erariale, quindi, era costituito dal maggior prezzo pagato
dall’Amministrazione per remunerare la ditta appaltatrice o, sotto altra
prospettiva, dal minor valore delle opere.
Esaminando singolarmente le singole poste di danno alla luce delle risultanze
della consulenza tecnica, il giudice di primo grado quantificava in €
54.379,62 il danno subito dall’Amministrazione a causa dell’impianto dei
tubi PN10 in luogo dei tubi PN16; in € 9.818,89 il danno per i pezzi speciali
da impiegare per le tubazioni in P.E.A.D. del diametro Ø 315 del tipo PN16;
in € 16.888,92 la differenza del costo di saldatura dei tubi; in € 2.324,6 il
costo delle prove idrauliche ineseguite.
Pronunciata la condanna, veniva dichiarata la conversione del sequestro
conservativo in pignoramento, ai sensi dell'articolo 686 c.p.c..
Con ricorso depositato il 1° luglio 2010, l’ing. Iacopino, rappresentato e
difeso dagli avv.ti Mario Caldarera e Nino Favazzo, ha proposto appello
avverso entrambe le sentenze.
Con il primo motivo i difensori hanno impugnato la sentenza parziale n.
1553/08, per la quale era stata fatta riserva di appello, con cui era stata
rigettata l’eccezione di prescrizione. Hanno sostenuto che nella fattispecie
l’inizio del decorso del termine prescrizionale doveva coincidere con la
redazione dello stato finale dei lavori o comunque con la data di collaudo
finale, come affermato nella sentenza delle Sezioni Riunite n. 2/2003/QM.
Non si poteva, infatti, ritenere che vi fosse stato l’occultamento doloso del
danno che, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti, presuppone un
comportamento fraudolento ulteriore diretto a nascondere al creditore 6
l’esistenza del debito, che nella fattispecie non vi è stato. In ogni caso hanno
lamentato l’errore, da parte del giudice di primo grado, nell’avere fatto
iniziare la decorrenza del termine al momento della redazione della relazione
di indagine sulla rete idrica disposta dal comune. Infatti, già nell’anno 1994
l’amministrazione aveva avuto conoscenza del presunto danno, dato che a
quella data erano state affrontate le prime spese per riparare i guasti alla rete
idrica.
Con il secondo motivo di appello i difensori hanno contestato la mancanza di
prova circa la difformità dell’intera rete idrica alle previsioni progettuali, in
quanto l’accertamento diretto della conduttura era stato effettuato in un
limitatissimo tratto di acquedotto e mancano ulteriori elementi presuntivi
idonei a non fare dubitare circa la verità del fatto accertato. Hanno rilevato,
ancora, i difensori che l’accertamento di una esecuzione difforme in uno
specifico tratto non può fare derivare alcuna responsabilità in capo al
Direttore dei lavori, il quale non ha alcun dovere di presenza continua in
cantiere e che può essere egli stesso essere tratto in inganno dall’attività
fraudolenta dell’appaltatore.
Circa l’esistenza e la natura giuridica del danno hanno osservato che, nei
confronti del comune, secondo i canoni civilistici, il soggetto obbligato a
rispondere per la cattiva esecuzione delle opere è l’appaltatore, obbligato a
ridurre il prezzo dell’appalto o ad eliminare i vizi dell’opera. In proposito
hanno negato ogni veridicità giuridica all’affermazione dell’autonomia
dell’azione contabile esperita nei confronti del DL, che dovrebbe rispondere
quale soggetto diverso da colui che, secondo i canoni civilistici, è il
responsabile. 7
Sotto il profilo del quantum risarcitorio, i difensori hanno contestato
l’esattezza delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado,
rifacendosi alla consulenza tecnica d’ufficio.
Infine, l’appellante ha chiesto la definizione agevolata mediante il pagamento
di una somma pari al 10% del danno quantificato in sentenza.
Con ordinanza n. 12/A/2011, questa sezione giurisdizionale ha respinto
l’istanza.
Nelle conclusioni scritte, depositate il 12 gennaio 2011, il Procuratore
generale ha contestato i motivi dell’appello proposto, di cui ha chiesto il
rigetto.
Con memoria depositata il 24 giugno 2011, i difensori dell’appellante hanno
ulteriormente illustrato i motivi contenuti nell’atto di appello.
All’udienza dibattimentale, l’avv. Caldarera ha ribadito l’eccezione di
prescrizione ed insistito in tutti i motivi di appello, controbattendo le
risultanze della consulenza tecnica d’ufficio circa il quantum risarcitorio. In
subordine ha chiesto l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito.
Il P.M. ha contestato i motivi di appello ed ha chiesto la conferma della
sentenza impugnata.
Diritto
Con il primo motivo di appello i difensori hanno impugnato la sentenza
parziale con la quale il giudice di primo grado ha respinto l’eccezione di
prescrizione, individuando l’inizio della decorrenza del termine nella data
della redazione della relazione d’indagine sulla rete idrica disposta dal
comune (26 agosto 1996). Ha sostenuto, invece, l’appellante che l’azione
doveva essere esercitata entro il quinquennio decorrente o dalla compilazione 8
dello stato finale o dall’effettuazione del collaudo o, quanto meno, dalla
verificazione dei primi guasti alla rete idrica. Poiché tali menzionati
accadimenti sono avvenuti nel quinquennio antecedente la costituzione di
parte civile del Comune nel processo penale, primo atto interruttivo del
termine, e non è stata data prova di comportamenti diversi atti ad occultare il
danno all’amministrazione, il diritto al risarcimento risulta prescritto.
L’assunto è infondato e deve essere respinto.
Ai sensi dell'art. 1, 2° comma, l. 14 gennaio 1994, n. 20, il diritto al
risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data in cui
si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del
danno, dalla data della sua scoperta.
Nei casi di danno diretto, quindi, la prescrizione dell'azione di ristoro del
danno erariale comincia a decorrere dal giorno in cui l'amministrazione è
giuridicamente in grado di conoscere del danno con i suoi tipici ed usuali
mezzi certativi, giorno che coincide con quello in cui si verifica il fatto lesivo
e se ne manifestano le conseguenze, salva l'ipotesi di doloso occultamento da
parte dell'autore. Tale causa di sospensione della prescrizione ricorre quando
sia posto in essere da quest'ultimo un comportamento - pari ad una condotta
ingannatrice e fraudolenta - intenzionalmente diretto ad occultare al creditore
l'esistenza dell'obbligazione. La condotta deve essere tale da avere indotto il
creditore in errore e comportare una vera e propria impossibilità di far valere
il proprio diritto, mentre non può estendersi ai casi di mera difficoltà di
accertamento del credito.
Sul punto, più volte questa Sezione d’appello ha affermato che, perché si
configuri il doloso occultamento del danno, occorre un comportamento che, 9
pur potendo comprendere l'attività antigiuridica pregiudizievole, debba
tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire il disvelamento di un
danno ancora in fieri oppure a nascondere un danno ormai prodotto
Tutto ciò premesso, nella fattispecie viene contestato al Direttore dei lavori di
avere consentito che fossero contabilizzati e pagati lavori difformi da quelli
previsti in progetto, in quanto realizzati con materiale diverso da quello
oggetto del contratto di appalto. Secondo la tesi accusatoria, ciò è potuto
avvenire per non avere il Direttore dei lavori, controllato preventivamente il
materiale acquistato dall’impresa, né mai verificato la posa in opera da parte
dell’impresa delle tubature come previste in progetto.
In effetti, l’ente appaltante espleta il controllo sulla corretta esecuzione dei
lavori tramite la direzione lavori. Il D.L., infatti, è la persona, di fiducia del
committente, che deve controllare che il progetto sia eseguito nel rispetto
delle indicazioni tecniche, amministrative e contabili previste dal progetto
stesso e dalle norme vigenti, cosicchè la sua mancata denuncia della cattiva
conduzione dei lavori implica l’impossibilità da parte dell’appaltante di
conoscere tempestivamente i vizi dell’opera così da potere tempestivamente
agire nei confronti dell’impresa.
Nella fattispecie è evidente che l’ing. Iacopino ha, con un comportamento
connotato da gravissima negligenza se non addirittura volontariamente,
nascosto i grossolani errori commessi dall’impresa nella esecuzione dei
lavori. Anzitutto, non ha mai menzionato in nessun atto dell’appalto le
caratteristiche dei tubi forniti e utilizzati dall’impresa nel corso dei lavori.
Uguale mascheramento dei fatti è avvenuto in occasione della redazione dello
stato finale e dell’ultima visita di collaudo delle opere, in cui genericamente il 10
Direttore dei lavori ha dichiarato che tutte le opere erano state realizzate
conformemente al progetto e a regola d’arte e, a dimostrazione di tale
assunto, asseriva il perfetto funzionamento della rete idrica. In effetti, non
solo i materiali utilizzati erano difformi a quelli in progetto, ma nessuna
prova idraulica era stata effettuata per verificare un regolare flusso dell’acqua
nel paese.
Il suo comportamento reticente si è protratto anche dopo il verificarsi delle
prime perdite d’acqua dalle condutture, con il rifiuto di rispondere alle
domande dei tecnici incaricati dal Comune ovvero dichiarando di non
ricordare nulla dei lavori eseguiti.
Ritiene, pertanto, il Collegio che sia stato posto in essere dall’ingegnere un
comportamento finalizzato all’occultamento degli esiti dannosi della sua
attività illecita che, come sopra rilevato, consente di spostare il termine di
prescrizione al momento della scoperta del danno stesso, momento che
coincide con l’accertamento fatto dal comune a mezzo della commissione
d’indagine.
La decorrenza del termine non può, infatti, farsi risalire al verificarsi delle
prime perdite d’acqua nei diversi punti della condotta idrica. Neppure in quel
momento, infatti, l’amministrazione comunale poteva avere la
consapevolezza che le opere erano state realizzate in difformità al progetto.
Solo nell’agosto del 1996, depositata la relazione dell’indagine
amministrativa disposta, il Comune ebbe acquisì la certezza delle condotte
antigiuridiche commesse a suo danno nell’esecuzione dei lavori.
Il termine quinquennale, iniziato a quella data, non venne mai a compimento,
poiché venne interrotto, come esattamente rilevato dal giudice di primo 11
grado, con la costituzione di parte civile nel processo penale, nel frattempo
instaurato contro l’ing. Iacopino ed il responsabile dell’impresa, e,
successivamente, nuovamente interrotto dalla notifica dell’atto di citazione.
Con il secondo motivo di appello i difensori hanno contestato la mancanza di
prova circa la difformità dell’intera rete idrica alle previsioni progettuali, in
quanto l’accertamento diretto sui lavori della conduttura era stato effettuato
in un limitatissimo tratto di acquedotto: mancherebbero, quindi, gli elementi
presuntivi idonei a fare ritenere provato il fatto.
Anche questo motivo di appello è infondato e deve essere respinto, dato che,
attraverso l’istruttoria svolta dal PM contabile e l’acquisizione del materiale
probatorio del processo penale, è stata raggiunta la piena prova dei fatti in
contestazione.
Occorre premettere che, mentre se il responsabile citato dinanzi al giudice
contabile è destinatario di una sentenza penale irrevocabile di condanna
pronunciata in seguito a dibattimento, le statuizioni circa la sussistenza del
fatto, la sua illiceità penale e l'affermazione che l'imputato lo abbia
commesso hanno efficacia di giudicato (art. 651 c.p.p.), diversamente accade
quando la sentenza non è stata pronunciata a seguito di dibattimento (c.d.
patteggiamento), ovvero quando per altre ragioni non si è pervenuti ad una
decisione di merito.
Quest’ultima ipotesi si è verificata nella fattispecie, in cui il processo penale
instaurato nei confronti dell’appellante si è concluso con una sentenza
dichiarativa della prescrizione.
E’ pacifico, tuttavia, in giurisprudenza (vedi per tutte Corte conti Sez. III
Appello n. 623/2005) che il giudice contabile possa trarre elementi di prova e 12
di convincimento dal giudizio penale, anche se la sentenza non è idonea ad
acquistare autorità di giudicato, utili a formare il proprio libero
convincimento ex art. 116 c.p.c..
Nella specie, rileva il Collegio che le prove acquisite al giudizio, sia
autonomamente da parte del procuratore agente, ma soprattutto durante l’iter
processuale svoltosi in sede penale, non lasciano adito a dubbi circa la
veridicità dei fatti contestati dal procuratore e posti a base della condanna dal
giudice di primo grado.
E’ certo, infatti, che nella realizzazione della intera rete idrica del comune è
stato utilizzato materiale diverso da quello previsto in progetto. Sono stati,
infatti, posati in opera, anziché tubi di polietilene aventi diametro 315 ed
idonei a resistere a pressioni PN 16, tubi con uno spessore di parete inferiore,
chiamati PN 10, utilizzati per pressioni più basse.
Già, i tecnici del Comune che avevano effettuato i primi interventi per le
perdite d’acqua che, subito dopo la consegna dell’opera, cominciarono a
verificarsi in varie parti del comune, hanno riferito, in sede di prova
testimoniale escussa dinanzi al giudice penale, che, nell’eseguire le
riparazioni, consistite per la quasi totalità dei casi nella sostituzione dei pezzi
speciali e cioè di quei pezzi aventi la funzione di raccordo, si erano accorti
della differenza di spessore dei tubi. Occorre, infatti, considerare che la
tipologia dei tubi è facilmente riconoscibile dato che sulla tubatura stessa è
impressa la marcatura indicante il tipo, la pressione e il diametro. Il sospetto
dell’impiego da parte dell’impresa di materiale diverso è stato, poi,
confermato dall’esame diretto di un tratto della tubazione, collocata in
prossimità della foce del torrente Magaro e rimasta scoperta a seguito di una 13
mareggiata, in cui si è riscontrato un utilizzo esclusivo della tubatura PN 10.
Ulteriore riprova della frode si è avuta a seguito dell’esame, da parte del
consulente nominato nel giudizio penale, delle bolle di consegna dei materiali
utilizzati in cantiere, da cui è emerso che gli unici tubi di diametro 315 di cui
l’impresa si era rifornita erano per pressione di esercizio PN 10 ed erano stati
acquistati per un quantitativo lineare pari a ml. 3.708, corrispondente alla
lunghezza della intera rete idrica.
Alla luce delle risultanze sopra indicate, non ritiene il Collegio che vi sia la
necessità di ulteriori prove per dimostrare che l’intera condotta idrica venne
realizzata in totale difformità alle previsioni progettuali.
I difensori hanno, comunque, sostenuto che l’accertamento di una esecuzione
difforme in uno specifico tratto non può fare derivare alcuna responsabilità in
capo al Direttore dei lavori, il quale non ha alcun dovere di presenza continua
in cantiere e può essere egli stesso essere tratto in inganno dall’attività
fraudolenta dell’appaltatore.
Sulla questione dell’elemento soggettivo della responsabilità da parte del
direttore dei lavori, il giudice penale di primo grado, alla luce della
complessa istruttoria svolta, non ha avuto dubbi nel qualificare dolosa la sua
condotta, condannandolo per il reato di frode nelle pubbliche forniture.
Anche la Corte di Appello di Messina, nella sentenza in cui ha dichiarato non
doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, ha premesso che
l’istituto della prescrizione veniva applicato “non essendo evidente che gli
imputati non hanno commesso il fatto, che questo non sussiste o non
costituisce reato”, diffondendosi nella motivazione attraverso l’illustrazione
di tutte le prove che avevano portato alla condanna degli appellanti. 14
Ritiene, tuttavia, il Collegio che, anche a non volere qualificare come dolosa
la condotta dell’ingegnere, il suo comportamento sarebbe ugualmente
connotato dall’elemento psicologico della colpa grave, necessario per la
responsabilità contabile
Come è noto, l’art. 3 del R.D 25.05.1895, n. 350, con il quale è stato
approvato il Regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione
dei lavori dello Stato, dove la figura giuridica del Direttore dei Lavori
compare per la prima volta, individua due compiti fondamentali a lui affidati
“l’accettazione dei materiali” e la verifica “della buona e puntuale esecuzione
dei lavori”, nessuno dei quali è stato svolto dall’odierno appellante.
Anzitutto, non risulta che egli abbia preso in carica i materiali o li abbia
controllati, pur avendo lui stesso, con una perizia di variante e suppletiva,
redatta dopo appena sette giorni la consegna dei lavori, disposto la
sostituzione totale delle tubature previste in progetto (anch’esso da lui
predisposto) con quelle di polietilene ad alta densità, con specificazione di
diametri e portata. In nessuno degli atti o delle relazioni redatte, né nei libri
delle misure o negli altri libri contabili prodotti, vi è l’indicazione PN 10 o
PN 16 con riferimento alle varie tubazioni.
Se tale omissione è servita ad evitare la condanna penale per il reato di falso,
non avendo il giudice penale potuto acclarare alcuna difformità tra quanto
acquistato e quanto dichiarato, tuttavia, ove si escluda un accordo fraudolento
con l’impresa, questa circostanza sottolinea ancora di più la scarsissima
attenzione nell’attività di controllo affidata all’ingegnere, rimarcando
l’elemento soggettivo della responsabilità colposa.
Ugualmente inesistente è stata la verifica circa la buona e puntuale 15
esecuzione dei lavori non essendo state effettuate le prove idrauliche.
Rileva il Collegio che, contrariamente a quanto affermato dal difensore,
secondo il D.M.LL.PP. del 12/12/1985 con cui è stata approvata la Circolare
Ministero dei Lavori Pubblici n. 27291, le prove idrauliche devono essere
obbligatoriamente eseguite. Nella Sezione relativa alle norme tecniche per le
tubazioni, infatti, è previsto che, ultimate le operazioni di giunzione dei tubi
ed il rifianco, il tronco di condotta eseguito dovrà essere sottoposto a prova
idraulica, con pressione, durata e modalità stabilite in progetto in funzione
delle caratteristiche della condotta (tipo di tubo e giunto, pressione di
esercizio, classi di impiego). Dell’esito di tali prove, ovviamente, deve essere
dato atto in appositi verbali.
Nell’ambito dei lavori in oggetto, il DL ha dichiarato in sede di indagine
amministrativa e di processo penale, di non ricordare di avere eseguito le
prove, e poiché di esse non esiste alcuna documentazione, è evidente che non
sono state fatte.
In definitiva, sussiste la prova della responsabilità del direttore dei lavori che
deve, quindi, rispondere dei danni provocati.
Con riferimento alla esistenza e alla natura giuridica del danno, i difensori
hanno contestato l’affermazione dell’autonomia dell’azione contabile esperita
nei confronti del DL, rispetto alle azioni risarcitorie previste dal codice civile
nei confronti dell’appaltatore per la cattiva esecuzione delle opere.
In proposito ritiene il Collegio che, come esattamente affermato dal giudice
di primo grado, non sussistono interferenze delle azioni che il codice civile
prevede a tutela del committente negli artt. 1667 e 1668 c.c., sull’azione
esperita dal PM contabile. 16
Si tratta di strumenti di reazione che operano su piani differenti,
coinvolgendo rapporti diversi e sono del tutto indipendenti fra di loro.
E’ evidente che il comune danneggiato non potrà conseguire una
duplicazione del risarcimento, cosicchè, eventualmente, qualora abbia
ottenuto due sentenze di condanna per il ristoro della medesima posta di
danno nei confronti di soggetti diversi, costoro potranno fare valere le proprie
ragioni in sede esecutiva.
Circa il quantum della pretesa risarcitoria, i difensori hanno denunciato
anzitutto l’errore commesso dal giudice di primo grado, il quale a sua volta si
è rifatto ai conteggi eseguiti dal C.T.U., circa la differenza di valore dei tubi
in polietilene PN 10 rispetto a quelli PN 16. Hanno sostenuto, in proposito,
che il giudice avrebbe dovuto fare riferimento al valore di mercato o alla
differenza di prezzo fra i due materiali dopo l’entrata in vigore del prezziario
regionale per i LLPP in Sicilia, pubblicato nella GURS del 20.4.1991,
vigente all’epoca di esecuzione dell’opera, e non al prezziario del 1986.
Osserva il Collegio che nella prima perizia di variante e suppletiva del
15.4.1991, regolarmente approvata e accettata con atto di sottomissione
dall’impresa, fu elaborata un’analisi dei prezzi all’epoca dei fatti della
tubazione in polietilene di diametro 315 e del tipo PN 16. Coerentemente, ai
fini del calcolo della differenza del prezzo tra tali tubi e quelli del tipo PN 10
utilizzati, non può che farsi riferimento ai prezzi in vigore alla stessa data,
precedente, anche se di pochi giorni, a quella di pubblicazione del nuovo
prezziario.
Anche con riferimento alle altre poste di danno addebitate all’ingegnere
ritiene il Collegio di confermare le valutazioni ed i calcoli effettuati dal 17
giudice di primo grado con l’ausilio del CTU.
Sul danno addebitato per la differenza di valore dei pezzi speciali, i difensori
hanno sostenuto che il costo di tali pezzi può essere determinato solo a mezzo
di opportune indagini di mercato indipendentemente dal prezzo della
tubazione, sia che si tratti di tubatura PN 10 o PN 16, e pertanto, non può
comportare alcuna maggiorazione di costo.
In proposito il CTU ha calcolato per i pezzi speciali da impiegare per le
tubazioni del tipo PN 16 un costo complessivo, come computato nella perizia
di variante e suppletiva, di € 19.012.025. In realtà sono stati montati pezzi
speciali del tipo PN 10, che non hanno un prezzo diverso da quello della
conduttura: pertanto i pezzi speciali per le tubazioni PN 16, non sono stati
realmente acquistati e l’importo relativo al loro costo costituisce danno
erariale.
Ugualmente corretto appare il calcolo del maggior costo pagato all’impresa
per la saldatura dei tubi PN 10 rispetto al tipo PN 16. Il danno deriva dalla
differenza di spessore dei tubi, in quanto maggiore è lo spessore, maggiore è
il costo per la saldatura. In proposito, il CTU, dopo avere calcolato l’intera
lunghezza della condotta idrica, ha determinato per differenza i maggiori
costi pagati dal comune per la saldatura di un tubo di maggiore spessore non
utilizzato. Operando per differenza, quindi, ha escluso dal calcolo, i costi
fissi, relativi, ad esempio, al costo per gli operai o del tempo necessario per
l’allineamento dei tubi, come richiesto dai difensori dell’appellante.
Infine, circa il danno subito dal Comune per le mancate prove idrauliche, si
trattava di un’attività, come esattamente rilevato dal giudice di primo grado,
prevista in Capitolato e, quindi, compresa nel prezzo dell’appalto. Il non 18
averla eseguita ha comportato una locupletazione per l’impresa ed un
ingiustificato esborso di somme per il Comune, quantificato in € 2.324,6, pari
al costo di quattro prove idrauliche.
In definitiva, ritiene il Collegio che l’appello debba essere respinto e
confermata la sentenza di primo grado, mentre non vi è alcun elemento, né
soggettivo né oggettivo, in base al quale questo Collegio possa fare uso del
potere riduttivo dell’addebito.
Le spese del giudizio, in virtù del principio della soccombenza legale, devono
essere addebitate all’appellante e si liquidano in complessivi € 581,12
P.Q.M.
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la regione siciliana
RIGETTA
l’appello proposto da Iacopino Vincenzo avverso la sentenza in epigrafe.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di questo grado di giudizio,
che si liquidano in complessivi € cinquecentottantuno/12 (581,12)
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 12 giugno 2012.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.TO (Luciana Savagnone) F.TO (Salvatore Cilia)
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 26/06/2012
Il Direttore della Cancelleria
F.TO (dott. Nicola Daidone

Commenti

Posta un commento

NEBRODI E DINTORNI © Le cose e i fatti visti dai Nebrodi, oltre i Nebrodi. Blog, testata giornalistica registrata al tribunale il 12/3/1992.
La redazione si riserva il diritto di rivedere o bloccare completamente i commenti sul blog. I commenti pubblicati non riflettono le opinioni della testata ma solo le opinioni di chi ha scritto il commento.